Vedere una figlia con evidenti capacità limitarsi per paura genera nei genitori un senso di impotenza frustrante. Quella giovane donna che conoscete capace di tanto si nasconde dietro un muro di insicurezze, rinunciando a opportunità lavorative, evitando relazioni significative e chiedendo continuamente conferme esterne per qualsiasi scelta. Questo schema comportamentale non è semplicemente timidezza o prudenza, ma un vero e proprio blocco emotivo che merita attenzione e strategie mirate.
Le radici nascoste della sfiducia in se stessi
La scarsa autostima nelle giovani adulte ha spesso origini complesse. L’autoefficacia percepita si costruisce attraverso esperienze di padronanza graduale durante l’infanzia e l’adolescenza. Quando una ragazza cresce ricevendo messaggi contraddittori – “sei brava ma attenta a non sbagliare” – sviluppa quello che gli psicologi chiamano perfezionismo disadattivo: la convinzione che il valore personale dipenda esclusivamente dai risultati impeccabili.
Ma c’è un altro elemento raramente considerato: il fenomeno della sindrome dell’impostore, particolarmente diffuso tra le donne giovani. Ricerche dimostrano che circa il 70% delle persone, con prevalenza nelle donne, sperimenta almeno una volta questa sensazione di essere fraudolente nonostante evidenze oggettive di competenza. Vostra figlia potrebbe vivere un conflitto interno tra ciò che gli altri vedono in lei e ciò che lei percepisce di sé.
Cosa NON fare: gli errori controintuitivi dei genitori premurosi
L’istinto genitoriale spinge a proteggere, rassicurare, risolvere. Paradossalmente, questi comportamenti ben intenzionati possono rafforzare il problema invece di risolverlo.
Smettete di rassicurarla continuamente
Ripetere “ma sei bravissima” o “ce la farai sicuramente” ogni volta che esprime un dubbio trasmette un messaggio implicito: “ho bisogno di convincerti perché evidentemente da sola non ci arrivi”. La rassicurazione costante crea dipendenza emotiva anziché autonomia. La lode generica abbassa la resilienza, mentre il riconoscimento di sforzi specifici la aumenta.
Non minimizzate le sue paure
Frasi come “non esagerare” o “tutti hanno questi timori” invalidano la sua esperienza emotiva. La paura del fallimento, per quanto irrazionale possa sembrare dall’esterno, per lei è reale e paralizzante. Ignorarla significa chiudere il canale comunicativo proprio quando servirebbe tenerlo aperto.
Evitate di sostituirvi nelle decisioni
Quando suggerite “perché non fai così?” oppure “secondo me dovresti…”, anche con le migliori intenzioni, sottraete a vostra figlia l’opportunità di esercitare il muscolo decisionale. Ogni scelta presa da altri è un’occasione persa per sviluppare fiducia nel proprio giudizio.
Strategie efficaci per nutrire l’autostima dall’esterno
La tecnica delle piccole scommesse
Incoraggiate vostra figlia a impegnarsi in micro-sfide a basso rischio emotivo. Non si tratta di spingerla verso il colloquio di lavoro dei sogni, ma di aiutarla a costruire un portfolio di piccole vittorie: iscriversi a un corso serale, partecipare a un evento sociale con un’amica, portare a termine un progetto personale in un mese. I successi incrementali creano nuovi percorsi neurali associati alla competenza, rafforzando progressivamente la percezione di autoefficacia.

Riformulate il fallimento
Le famiglie che normalizzano l’errore come parte del processo di apprendimento crescono figli più resilienti. Condividete i vostri fallimenti professionali o personali, non come aneddoti drammatici ma come tappe necessarie. “Quella promozione che non ho ottenuto mi ha insegnato…” oppure “Quando ho sbagliato quel progetto ho scoperto che…”. Questo approccio ridefinisce il fallimento da catastrofe irreversibile a feedback utile.
Il metodo del pensiero ad alta voce
Quando vostra figlia vi chiede consigli per una decisione, invece di dare risposte, verbalizzate il vostro processo decisionale: “Se fossi al posto tuo, mi farei queste domande… Considererei questi aspetti… Accetterei che non esiste la scelta perfetta ma quella più allineata ai miei valori in questo momento”. Le insegnate così un metodo, non una soluzione.
Il ruolo terapeutico: quando l’intervento familiare non basta
Se l’autosvalutazione interferisce significativamente con la qualità della vita – rifiuto sistematico di opportunità, isolamento sociale crescente, sintomi ansiosi o depressivi – un percorso psicoterapeutico diventa necessario. La terapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato efficacia nel trattamento delle credenze disfunzionali sull’autoefficacia. Non si tratta di debolezza, ma di fornire strumenti professionali per ristrutturare schemi mentali radicati.
Come genitori, potete proporre questa opzione non come “hai un problema che devi risolvere” ma come investimento nelle tue risorse personali, allo stesso modo in cui si assumerebbe un personal trainer per migliorare la forma fisica.
Il potere della pazienza attiva
Costruire autostima autentica richiede tempo, spesso più di quanto genitori ansiosi vorrebbero. Il vostro ruolo non è trasformare vostra figlia, ma creare le condizioni ambientali ed emotive perché lei possa scoprire progressivamente il proprio valore. Questo significa tollerare l’incertezza di vederla esitare, sbagliare, ritentare, senza intervenire prematuramente per salvarla.
La fiducia in se stessi non si trasmette a parole, si assorbe attraverso esperienze ripetute di autonomia supportata. Il vostro compito più difficile è fare un passo indietro rimanendo presenti: una danza delicata tra vicinanza emotiva e distanza operativa. Quando vostra figlia affronterà finalmente quella sfida che evitava e vedrà di esserne capace, quella vittoria sarà autenticamente sua, e proprio per questo trasformativa.
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