Filetti di merluzzo al supermercato: quello che non ti dicono può costarti caro

Quando acquistiamo filetti di merluzzo al supermercato, raramente ci soffermiamo a leggere le informazioni riportate sulla confezione. Eppure, dietro quel prodotto apparentemente semplice si celano dettagli fondamentali che possono fare la differenza tra un acquisto consapevole e uno completamente al buio. La provenienza geografica del pesce e il metodo di cattura non sono semplici curiosità per appassionati: rappresentano indicatori essenziali per valutare sia la qualità nutrizionale che l’impatto ambientale delle nostre scelte alimentari.

Cosa dovrebbe dirci l’etichetta dei filetti di merluzzo

La normativa europea impone ai produttori di indicare chiaramente alcune informazioni sul pesce commercializzato, tra cui la zona di pesca identificata attraverso codici FAO specifici. Questi codici numerici corrispondono a precise aree oceaniche: l’Atlantico Nord-Orientale (ad esempio FAO 27), il Mar Baltico, il Pacifico, e così via. Ogni zona presenta caratteristiche diverse in termini di gestione delle risorse ittiche, controlli ambientali e livelli di inquinamento marino.

Il metodo di cattura è altrettanto rilevante: pesca a strascico, reti da circuizione, palangari o lenze rappresentano tecniche con impatti ambientali profondamente differenti. La pesca a strascico danneggia gravemente i fondali marini, mentre metodi selettivi come le lenze riducono significativamente le catture accidentali di altre specie.

Il problema delle etichette incomplete o ambigue

Nella pratica quotidiana, molte confezioni di filetti di merluzzo presentano informazioni vaghe o difficilmente interpretabili. Alcune riportano genericamente “Atlantico” senza specificare la sottozona, altre indicano codici FAO poco leggibili o posizionati in punti nascosti della confezione. Questa mancanza di trasparenza non è casuale: dietro formulazioni evasive si nasconde spesso la volontà di non rendere immediatamente riconoscibile l’origine effettiva del prodotto.

Il merluzzo pescato nel Mare di Barents, per esempio, proviene da stock ittici generalmente ben gestiti e controllati. Al contrario, alcune zone dell’Atlantico Occidentale hanno subito negli anni un sovrasfruttamento delle risorse. Senza informazioni precise, il consumatore si trova nell’impossibilità di distinguere tra queste realtà così diverse.

L’illusione del pesce locale

Molti acquirenti presumono che i filetti di merluzzo esposti nei banchi refrigerati dei supermercati italiani provengano da mari relativamente vicini. La realtà è spesso diversa: gran parte del merluzzo consumato in Italia arriva da zone di pesca lontanissime, talvolta dall’altro lato del pianeta, come Sudafrica, Alaska o Pacifico nord-orientale. Il viaggio che questo pesce compie prima di raggiungere la nostra tavola può durare settimane e attraversare interi oceani.

Questa distanza geografica ha conseguenze dirette sulla freschezza effettiva del prodotto e sull’impronta ecologica complessiva. I processi di congelamento, trasporto refrigerato e scongelamento controllato sono certamente efficaci nel preservare le caratteristiche organolettiche, ma non possono competere con un pesce pescato in acque più prossime e sottoposto a una filiera più breve.

Come verificare realmente la provenienza

Diventare consumatori consapevoli richiede un minimo sforzo investigativo al momento dell’acquisto. Innanzitutto, bisogna cercare il codice FAO completo: non accontentarsi di indicazioni generiche come “Oceano Atlantico”, ma pretendere la sottozona specifica (ad esempio FAO 27 per l’Atlantico Nord-Orientale con le relative sottodivisioni). Poi occorre identificare il metodo di cattura, informazione che dovrebbe essere riportata obbligatoriamente e permette di valutare l’impatto ambientale della tecnica utilizzata.

È importante anche distinguere tra pescato e allevato: il merluzzo proviene prevalentemente da pesca, ma varianti simili potrebbero derivare da acquacoltura con caratteristiche nutrizionali differenti. Infine, vale la pena verificare le certificazioni: alcuni prodotti riportano marchi di sostenibilità che attestano la provenienza da stock ittici gestiti responsabilmente.

Le conseguenze di scelte poco informate

Acquistare filetti di merluzzo senza conoscerne l’origine significa rinunciare a un potere decisionale importante. Da un lato, contribuiamo inconsapevolmente alla domanda di pesce proveniente da zone sovrasfruttate, incentivando pratiche di pesca insostenibili. Dall’altro, potremmo pagare lo stesso prezzo per prodotti con qualità e caratteristiche nutrizionali molto diverse.

Il merluzzo pescato in acque fredde presenta concentrazioni più elevate di omega-3 EPA e DHA rispetto a quello da altre zone, grazie all’accumulo tramite la catena alimentare in mari freddi. Le maggiori concentrazioni si trovano nei pesci dei mari freddi, come quelli dal Pacifico nord-orientale o Alaska. Il merluzzo contiene acidi grassi omega-3 (circa 195-250 mg per 100 g crudo), proteine ad alto valore biologico e basso contenuto di grassi saturi, favorendo la salute cardiovascolare. La densità delle carni, il sapore e persino la conservabilità del prodotto variano significativamente in base alla provenienza geografica e alle condizioni ambientali dell’habitat di origine.

Oltre l’etichetta: domandare e confrontare

Nei reparti pescheria assistita dei supermercati, il personale dovrebbe essere in grado di fornire informazioni dettagliate sulla provenienza del pesce. Non esitate a porre domande specifiche: da quale oceano proviene esattamente? Con quale metodo è stato pescato? Quando è stato catturato? Queste domande non sono invadenti curiosità, ma legittimi diritti del consumatore che vuole compiere scelte alimentari informate.

Confrontare diverse confezioni di filetti di merluzzo presenti sugli scaffali rivela spesso differenze sostanziali nelle informazioni fornite e nei prezzi applicati. Prodotti apparentemente identici possono nascondere provenienze geografiche agli antipodi, con tutto ciò che questo comporta in termini di sostenibilità, freschezza e qualità complessiva.

La trasparenza nella filiera ittica rappresenta una conquista ancora parziale. Ogni volta che scegliamo consapevolmente prodotti con etichettatura chiara e completa, inviamo un segnale preciso al mercato: vogliamo sapere cosa portiamo in tavola. Solo una richiesta costante di informazioni può spingere i distributori a migliorare gli standard di comunicazione e a privilegiare fornitori realmente trasparenti sulla provenienza dei loro prodotti ittici.

Quando compri merluzzo al super controlli la zona di pesca?
Sempre leggo tutto
A volte se ho tempo
Guardo solo il prezzo
Non sapevo servisse
Mai ci ho pensato

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